mercredi 20 juillet 2011

Potosì

La strada maggiormente turistica di Uyuni è costellata da pizzerie, stile americano. Ci fermiamo per un ultimo bicchiere con i compagni di avventura in una di queste, quella tra tutte più confortevole perchè il rudimentale forno a gaz situato nella sala disperde più calore di quanto non ne ritenga.
Dopo aver dimorato in un ostello senza pretese ma ben pulito salutiamo Uyuni, felici di cambiar città.
E' sabato, Potosì il nostro destino.
Il tratto di prima strada e l'atmosfera che si respira a bordo del bus ci ricorda, qualora ancora non ce ne fossimo resi conto, che siamo in Bolivia, il paese più povero del sud America. Rifiuti di tutti i colori e per lo più di plastica tappezzano il piano circostante Uyuni; il vento, ma non solo, li ha trasportati fin lì. Entriamo in poco tempo tra le montagne dove le strade ancora non sono asfaltate, ma ricoperte di terra battuta. Le montagne sono nude in vegetazione per l'altura in cui ci troviamo e le strade, intagliate in pendii a volte impressionanti, prive di ripari. Gli autobus, da queste parti, hanno il ponte maggiormente rialzato da terra; questo li rende più agili in certe situazioni, ma pure meno stabili in altre. Laddove lo stato della carreggiata è precario il bus arranca e le pietre in mezzo al cammino lo fanno dondolare come un asino carico di fardelli. Succede allora che il somaro si rovescia e finisce in una scarpata; ecco cosa capitò verosimilmente qualche giorno prima del nostro passaggio, ad un mezzo come il nostro, alle porte di un paesino di montagna. Un centinaio di metri sotto la strada un bus, ruote all'insù, contro un muro di sassi nel quale aveva cozzato dopo un rovinoso capitombolo.
Siamo in Bolivia, paese di autisti incauti, troppo spesso ubriachi e incoscenti delle proprie responsabilità.
Continuiamo l'ancor lungo viaggio con questa brutta immagine rimastaci impressa. Nei tratti pianeggianti e asfaltati tiriamo il fiato, in quelli più tortuosi e a rischio lo tratteniamo. E preghiamo.
Dopo cinque ore entriamo finalmente in Potosì dalla parte bassa della città, sollevati dal buon esito del viaggio.
Le costruzioni ricoprono un vasto territorio piuttosto collinoso in mezzo a cui vi sta il centro storico, politico e culturale, e dove prenderemo alloggio in un grande, dinamico e coloratissimo ostello, ricavato dalle mura di un'antica casa coloniale. Più ci si allontana dal centro più i quartieri sono tristi e le costruzioni povere (così come le persone che vi abitano), rudimentali e non terminate. Il color mattone domina, e non solo sul viso della gente.
Siamo a Potosì, la città più alta del mondo (4'090 metri) e una delle più caratteristiche e ricche dal punto di vista storico del sud America. Ai tempi della conquista spagnola era una delle città più importanti e ricche al mondo (al pari di Parigi e Londra). Tutta questa fortuna la si debbe al monte di forma triangolare che timidamente sovrasta la cittadina, il Cerro Rico. All'apparenza privo di attrattiva, al suo interno nasconde un metallo, un tempo molto ricercato e prezioso, la plata ovvero l'argento. Senza questa fortuna Potosì non sarebbe Potosì, perchè gli spagnoli non ci si sarebbero insediati e non avrebbero quindi approfittato di queste preziose risorse per costruire edifici e soprattutto chiese, che ne fanno di questa città un tesoro d'architettura Barocca. Una gran parte di tanta ricchezza fu pure destinata all'Europa...
Le mine di Potosì danno lavoro a migliaia e migliaia di uomini, dentro e fuori la montagna, e per le loro famiglie è questa l'unica fonte di guadagno. Chi non possiede campi e terre da coltivare cerca fortuna tra le viscere sotterranee del Cerro Rico, anticamente chiamato Sumac Orcko (la più bella montagna). La vita è dura laggiù alla sola luce della torcia frontale, soprattutto per i giovani uomini che cercano paradossalmente una via d'uscita nei cunicoli sotterranei, guadagnandosi qualche soldo per la propria famiglia in primis e per gli studi grazie ai quali potrebbero trovare vita migliore. Un passaggio obbligato per taluni, costretti a dar da mangiare alle proprie madri e sorelle minori perchè orfani dei propri padri mai più usciti alla luce del sole, preda delle misere condizioni di lavoro. La montagna è spietata, come una donna, soprattutto se la ferisci al suo interno, e così si ribella... La speranza di vita nei fondali oscuri è di 40 anni al massimo (a causa del silicio respirato) e i bambini lo sanno bene, ma alcuni non possono evitarla.
Una prima prova di coraggio per questi giovani aitanti consiste nell'affrontare il Tio, simbolo, emblema e protettore di questa montagna. All'entrata dei vari settori, dopo stretti cunicoli a volte interminabili, nell'oscurità più assoluta, una maschera raffigurante un diavolo simbolizza questa figura, presente in ogni momento di vita lavorativa del minatore. Il Tio va adorato e rispettato, altrimenti può riservare brutte sorprese. I neofiti, inizialmente impauriti e intimoriti da questo personaggio più mitologico che altro, assimilano presto questa credenza, ancor prima dell'arte del minatore.
Malgrado tutto quanto di negativo comporti questo mestiere, non v'è minatore che non sia fiero di quanto faccia.
L'atmosfera delle mine è percettibile pure nei vicoli cittadini. La gente è orgogliosa del proprio monte e ostenta un certo entusiasmo nel parlarne, i bambini per le strade vendono pezzi d'argento grezzo e numerose agenzie propongono visite guidate nelle mine sotterranee al fine di rendere meglio l'idea al turista di dove migliaia e migliaia di uomini si trovano, il giorno e la notte.
Dopo qualche giorno di riflessione decidiamo di astenerci dal visitare questi misteriosi posti. I luoghi chiusi e interminabili senza un minimo apporto di luce diurna non ci si addicono.
Optiamo per le visite della casa nacional de Moneda e del convento-museo Santa Teresa, due tra i più importanti e meglio conservati edifici coloniali della città.
Il primo, edificato nel XVIII secolo, è la più grande costruzione civica coloniale delle Americhe. Durante un centinaio di anni si produssero monete d'argento tramite una moltitudine di matrici mosse prima da schiavi, poi da cavalli e infine da macchine a vapore. Gran parte dell'ancestrale infrastruttura (in particolare tutto il meccanismo rotante in legno) è tutt'ora in loco, così come la si lasciò un secolo addietro.
Il convento, tramite un percorso ben strutturato, presenta la vita di clausura delle sorelle. Per quasi tre secoli ospitò donne (di sole famiglie abbienti) che una volta entrate (all'età di 15-16 anni) non uscivano più. In alcune sale sono esposti affreschi e quadri, raffiguranti in particolar modo la vita religiosa.
E' già di nuovo sabato, una settimana è trascorsa dal nostro arrivo. Ripartiamo in bus, destino Sucre.
Le montagne valicate la settimana prima lasciano spazio ad un altipiano collinoso, spettacolare per i colori che il terreno diversamente coltivato presenta; dal giallo al marrone passando da una moltitudine di tonalità.


1 commentaire:

  1. Ciao Tete e Gloria , speriamo che arrivi presto il 18 agosto e che tornate a casa sani e salvi . Cari saluti e BUON VIAGGIO . Donata .

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